Vita
Da "obstinatissimo eretico", per i cattolici romani di fine Cinquecento, a "martire della nuova e libera filosofia", per gli intellettuali italiani della seconda metà dell’Ottocento: strano destino per un ragazzo nato a Nola (Campania) nel 1548. La sua vocazione è quella di indagare sulla natura.
Diciassettenne, Filippo Bruno veste l’abito domenicano a Napoli e prende il nome di Giordano. Sacerdote nel 1572, dottore in teologia tre anni dopo, animato da un’insaziabile passione per lo studio, Giordano Bruno diviene in breve tempo uno dei più brillanti intellettuali d’Europa. Ma la passione per la verità lo pone inevitabilmente in contrasto con la cultura dogmatica del tempo (un’atmosfera oscurantista e retriva di cui sarà vittima lo stesso Galilei, qualche decennio dopo).
Eresia
Giordano Bruno è ben presto dichiarato eretico. L’eresia può riguardare una teoria non conforme alle sacre scritture oppure alle credenze stabilite nel passato (come la visione dello spazio di Aristotele) riguardanti scienza e religione possono essere bollate come eretiche. Lo scopo del “processo” è portare l’imputato ad abiurare le proprie credenze, e non è facile. L’unico strumento valido è l’uso della violenza. Ma il tribunale dell’Inquisizione ha anche l’autorità di condannare a morte i processati, ed è il caso del filosofo campano, che proprio per sfuggire a un processo a suo carico a Napoli si sposta a Roma. Comincia allora una vita in continua fuga. Ovunque è inizialmente accolto con calore e rispetto, poiché si ammira il suo spirito, la sua cultura, la sua eloquenza e la sua padronanza dell’arte della memoria, molto tenuta in considerazione in un’epoca in cui la stampa è ancora ai primi passi. Dappertutto è dopo un po’, sempre osteggiato.
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